martedì 17 settembre 2013

Campionati del mondo: riflessioni a freddo, di Luciano Bagoli


Sono passate alcune settimane dalla fine dei Campionati del Mondo di Mosca, e dopo l'analisi "a caldo" effettuata da Luciano Bagoli il 19 agosto, ecco qui di seguito alcune sue ulteriori considerazioni sull'argomento, questa volta scritte "a freddo" e un pò provocatorie,  per provare ad aprire con chi ci legge un ulteriore momento di confronto sull'argomento.

Buona lettura...



Premesso che quanto abbiamo detto sul livello tecnico e sul clima sportivo dei mondiali e che condividiamo la schiettezza e la chiarezza con cui il Presidente della Fidal ha commentato i risultati degli italiani, crediamo che sia il caso che alcune riflessioni a freddo siano svolte anche da noi. In sintesi cerchiamo di porre all'attenzione le impressioni nostre e di altri e, chiedendovi anticipatamente venia per l’ardire, ci permettiamo di proporre qualche cosina. 

Partiamo dalle impressioni prime, quelle che percepisci immediatamente alle prime visioni e ai primi ascolti. 

  • Se la regia televisiva e il clima di gara sono stati ottimi - e tale impressione non è variata ma anzi è incrementata grazie alla simpatia istintiva alimentata dalla serenità con cui si diversi atleti hanno vissuto momenti e luoghi (basti la Cicerova in campo con la figlia) - crediamo che si possa migliorare la nostra presenza e la lettura che i nostri cronisti e tecnici danno dell'evento. In particolare, a un pubblico di neofiti, certo linguaggio tecnico risulta incomprensibile. A maggior ragione se si usano termini gergali o se si cerca di entrare in una descrizione raffinata con arricchimenti "esterofili". Questo ci è stato riferito, a fronte della nostra domanda di esprimere un'opinione, anche da alcuni (4) giovanissimi ai quali abbiamo consigliato, prima dell'estate, di guardare i campionati. Un linguaggio semplice non significa che debba essere gergale, anzi ... Una spiegazione tecnica non significa che debba essere con linguaggio accademico, anzi ... Sempre sulla cronaca dei nostri, è risultata antipatica l'insistenza con cui è stata pressata Irina Isinbayeva sulla questione della recente legge contro l'omosessualità in Russia. Al limite della crisi diplomatica. E, dato che in questi giorni ricorre il 40° del colpo di Stato in Cile, in merito ai diritti non dimentichiamo che l'Italia andò a giocare la finale di coppa Davis in quel Paese proprio tre anni dopo il golpe di Pinochet, mentre imperversava uno dei regimi fascisti più feroci del secondo dopoguerra. Oppure si giocarono i mondiali in Argentina durante il regime fascista di Videla poco dopo il colpo di stato del 1976. In nessuno di questi casi i nostri cronisti si spesero per la democrazia in quei Paesi. 
  • Una squadra eterogenea, assenza di una scuola. E’ la nostra situazione, che si evince osservando la composizione del nostro team e analizzando le squadre degli ultimi 20 anni. Sono lontani gli anni d’oro del fondo, dello sprint; lontanissimi quelli degli ostacoli. La presenza di un atleta da finale in una specialità è episodica, non strutturale negli anni. Non c’è confronto con altri Paesi: Germania nei lanci da sempre, nelle prove multiple …; La Russia, rinata non solo perché giocava in casa. Si comprende che per noi la presenza non strutturale è il risultato di un’atletica che non è in grado di creare vere scuole. Ma non basta quest’osservazione lapalissiana. C’è il problema dei nostri atleti, che sono strutturalmente diversi dagli altri; appaiono meno formati, meno preparati. Azzardiamo l’affermazione che la questione è culturale: ma non solo relativo alla cultura tecnica dei nostri allenatori, bensì al livello culturale del Paese, a come la popolazione interpreti lo sport. Se per la formazione dei tecnici ci deve pensare la Federazione per mezzo di corsi di formazione di livello molto elevato, chi deve pensare alla formazione culturale del Paese? Chi opera a contatto con i giovanissimi, nella scuola o sui campi sportivi, sa quanto sia difficile invertire la tendenza alla sedentarietà dei nostri giovani; sa quanto spesso molti giovani, seppur di buona volontà, portino già le carenze irrecuperabili prodotte dalla nostra società. E’ per questo che si deve partire dai giovanissimi: per essere parte attiva e primaria di un processo che inverta una tendenza estremamente pericolosa per i giovani e per lo sport. 

Dunque, che fare? 

Supponendo che non cambi la struttura del Paese e della proposta sportiva generale (Scuola, Coni e Federazioni, reclutamento casuale) non si ha scelta: 

cercare di risolvere il problema dalle radici, al nostro interno

a) intervenendo sui giovanissimi per creare i presupposti di una futura popolazione atletica all’altezza, 

b) formando un quadro tecnico realmente al livello della sfida che ci attende.


    Luciano  Bagoli


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